20/07/11

Un anno sull'altipiano, di Emilio Lussu


"Un anno sull'altipiano" di Emilio Lussu è uno dei più importanti libri italiani sulla prima guerra mondiale.
Venne scritto nel 1936, ma apparve per la prima volta in Francia nel '38 e venne pubblicato in Italia solamente nel 1945 da Einaudi.
Questi particolari ritardi e "strani" giri per la pubblicazione derivano dal fatto che Lussu fosse un antifascista convinto, venne confinato a Lipari da dove riuscì a fuggire nel 1929 rifugiandosi in Francia, dove con altri esuli fondò "Giustizia e Libertà".


L'altipiano citato nel titolo è quello di Asiago, dove l'autore combatté come ufficiale di fanteria della Brigata Sassari, e nel libro viene trattato il periodo che va dal giugno 1916 fino a luglio del 1917.
"Un anno sull'altipiano" è sostanzialmente una raccolta di fatti e di memorie dell'autore, non esiste quindi una trama vera e propria, ma vengono semplicemente narrati gli avvenimenti che colpirono maggiormente Lussu durante la sua permanenza sull'altipiano.
Il testo non dei più scorrevoli, ma personalmente lo ritengo denso di contenuti e privo di retorica, o di particolari partigianerie. Lussu si limita a narrare dei fatti e degli eventi a cui ha avuto modo di assistere.
Presenti i classici elementi che distinguono da sempre il nostro esercito, mancanza di coordinazione, disorganizzazione, carenza di mezzi, ufficiali incapaci ed inesperti che mandano al macello soldati.
Viene presentata bene l'assurdità di quella guerra e del modo in cui veniva combattuta dai soldati, terrorizzati al momento dell'assalto (tanto che alcuni arrivavano anche a suicidarsi prima) e che preferivano una "tranquilla" morte in trincea, magari per mano di un cecchino austriaco.

"L'assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? Le mitragliatrici, tutte, sdraiate sul ventre imbottito di cartucce, ci aspettavano. Chi non ha conosciuto quegli istanti, non ha conosciuto la guerra."

Per riuscire a sopportare il peso della guerra, della trincea e della morte si stordivano con il cognac.
Il bere era un elemento comune sia tra la truppa che nel corpo degli ufficiali, di qualsiasi grado, che sembrava essere l'unico vero conforto del soldato al fronte. In grado di scacciare la paura e di fornire quel coraggio "artificiale" che permetteva loro di andare all'assalto, verso postazioni difese in maniera agguerrita e nella maggior parte dei casi senza il supporto dell'artiglieria.
Artiglieria che, quando assente era desiderata e quando presente era disprezzata, poiché nella maggior parte dei casi i colpi finivano proprio in mezzo alle linee amiche, decimando le unità.

"Io mi difendo bevendo. Altrimenti, sarei già al manicomio. Contro le scelleratezze del mondo, un uomo onesto si difende bevendo. E' da oltre un anno che faccio la guerra su tutti i fronti, e finora non ho visto in faccia un austriaco. Eppure ci uccidiamo a vicenda, tutti i giorni. Uccidersi senza conoscersi, senza neppure vedersi! E' orribile! E' per questo che ci ubbriachiamo tutti, da una parte e dall'altra..."

Il nemico è presente, di fronte alle loro trincee, ma secondo molti soldati è anche alle loro spalle e tra loro. Incarnato nei comandanti, nei confronti dei quali più volte si dice che "siano stati mandati dal nemico", per via delle scelte scellerate e dei loro ordini che portavano all'inutile macello tantissimi soldati, fin troppo ubbidienti e ligi al dovere.
Un libro che presenta in maniera efficace e cruda la guerra, soprattutto come venne combattuta dal nostro esercito e a cosa andassero incontro i nostri soldati, raccontando molti particolari che solitamente non vengono raccontati.

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