22/07/11

I più non ritornano, di Eugenio Corti


"I più non ritornano" di Eugenio Corti è un'ottima lettura su quell'inferno bianco che fu la ritirata dell'Armir.
L'autore ebbe modo di combattere in Russia durante la guerra, dopo aver lui stesso inoltrato la richiesta per essere destinato al fronte russo.
Si tratta di uno dei resoconti più forti su questo argomento, sicuramente in grado di lasciare il segno. Narra degli avvenimenti vissuti dall'autore e dai soldati italiani a seguito dello sfondamento del fronte italiano, un diario di 28 intense giornate che sono state devastanti sia per i nostri militari che per tutto il fronte orientale.


Quello che caratterizza notevolmente questo resoconto è la profonda religiosità dell'autore, unita alla sua grande umanità che lo rende capace di gesti ammirabili e che "stonano" notevolmente in quel disgraziato ambiente che è costituito da un armata in rotta.
La fede di Corti lo ha sostenuto nel riuscire ad andare avanti in quel mare di sofferenze, aiutandolo nell'adempimento del suo dovere.
Se cercate un libro che faccia chiarezza sulle operazioni militari che portarono allo sfondamento del fronte, questo non fa per voi, visto che dedicato principalmente alla difficoltà della sopravvivenza di una massa in fuga, con le sue paure, ansie e speranze.

"Non eravamo più un esercito. Non avevo più a che fare con soldati, ma con esseri incapaci di dominarsi, che obbedivano ormai a un solo bestiale istinto: quello della conservazione."

Vengono raccontante anche le assurdità causate dalla paura della ritirata, con pattuglie inviate avanti alla ricerca del nemico e che si trovavano bersagliate dai colpi provenienti dalla lenta colonna umana, con italiani che uccidevano propri connazionali.
Nel libro vi sono descritte anche pesanti atrocità compiute dagli schieramenti coinvolti in quel brutale scontro, unendole al resto del racconto e parlandone con onestà, senza omettere nulla e lo stesso vale per le violenze a cui lui stesso ha assistito.
Il libro si lascia poi leggere con estrema scorrevolezza, unito ad uno stile efficace e particolarmente interessante, con descrizioni decisamente macabre, crude, evocative ma particolarmente realistiche.

“Il carabiniere – amico d’uno dei nostri uomini – mi raccontò anche una strana avventura che gli era capitata ad Arbusov.
Si trovava a far capannello con altri quattro o cinque soldati, quando in mezzo a loro era esploso un razzo di katiuscia, che aveva abbattuto tutti, lasciando in piedi lui solo. L’impressione era sata fortissima, anche perché gli altri apparivano letteralmente dilaniati: uno aveva avuta la parte anteriore del torace asportata di netto da uno scheggione: si vedevano polmone, cuore e stomaco intatti: ‘Come si fosse aperto un libro’ mi spiegò.
Per il trauma il carabiniere era uscito di sé, e s’era convinto d’essere morto: non era più lui che viveva, ma la sua anima. Era rimasto in tale condizione per alcuni giorni, finché, trovato del cibo, si era potuto rinforzare un poco. Durante quel periodo andava all’attacco con gl’Italiani, e li incitava con la voce e col gesto; non sparava però, e non si riparava dal piombo nemico, perché un morto non può né uccidere né essere ucciso.”

Si tratta in sostanza di un libro da leggere, adatto anche a chi è poco avvezzo a letture sulla guerra, poiché estremamente interessante e scritto molto bene. Per gli appassionati invece si tratta di una lettura immancabile.

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